mercoledì 31 luglio 2013

Massimo Ranieri ed Eumir Deodato



Meditazione
di William Molducci

Nella discografia di un cantante dalla lunga e fortunata carriera esistono dei progetti, che pur avendo qualità e potenzialità artistiche, non hanno avuto il successo sperato. Nel caso di Massimo Ranieri questo è avvenuto nel 1976 con Meditazione, un album di 6 brani di autori di musica classica, rivisitati in versione jazz.
La particolarità di questo lavoro discografico consiste nella collaborazione artistica con il grande musicista brasiliano Eumir Deodato, che ne ha curato gli arrangiamenti e la conduzione musicale dell'orchestra. Si tratta di un musicista molto eclettico che ha spaziato attraverso numerosi generi musicali, partendo da una matrice jazz.
I musicisti che hanno partecipato alla realizzazione di questo lavoro sono lo stesso Deodato per le tastiere (inconfondibile), Vincenzo Restuccia alla batteria, il jazzista Maurizio Majorana al basso, Silvano Chimenti e Sergio Coppotelli (anche lui di matrice jazz) alle chitarre, oltre all'Orchestra di Musica Leggera dell'Unione Musicisti di Roma (gli archi furono diretti dallo stesso Deodato).

Il periodo storico dei due artisti

Eumir Deodato da alcuni anni era presente in tutte le classifiche con i suoi album e si avviava a iniziare il suo periodo di avvicinamento al genere funky/disco music. L'album realizzato con Ranieri si pone dopo Whirlwinds e in contemporanea a Very Together, quindi al culmine e nel pieno della sua maturità artistica.
Massimo Ranieri nel 1974, iniziava un periodo difficile per la sua carriera, in sostanza a soli 25 anni sembrava avere già fatto tutto quello che si poteva in ambiti quali musica e cinema. La canzone napoletana e il teatro gli consentirono di trovare nuovi stimoli e successo, per la regia teatrale di Mauro Bolognini, registra al Teatro Valle di Roma uno spettacolo ripreso dalla televisione e da cui incide dal vivo l’album Napulammore. Partecipa all’ultima edizione di Canzonissima 1974 e si classifica al secondo posto con il brano Per una donna.
L'anno successivo è il protagonista del film Salvo D'Acquisto per la regia di Romolo Guerrieri accanto a Enrico Maria Salerno e Lina Polito. Nel 1976 oltre a registrare l’album Meditazione realizza al Teatro Valle di Roma, sempre per la regia di Mauro Bolognini, da una poesia di Raffaele Viviani, Macchie 'e culore, da cui fu tratto un disco live e uno show televisivo.


Meditazione

L'album si sviluppa sui sei brani, sostenuti dalla forza degli arrangiamenti e dagli interventi di ottimi solisti, con dei richiami sonori tipici dell'epoca e soprattutto da Eumir Deodato, maestro nella fusione di generi quali classica, jazz, funk e rock. Si tratta di una vera e propria colonna sonora con orchestrazioni basate su chiavi sinfoniche e ottoni, chitarre elettriche, tastiere “jazz” del maestro brasiliano e la chitarra “liscia” di Chimenti, il tutto esaltato profondamente dall'emotività della voce di Massimo Ranieri (a volte un po' malinconica).
Deodato non era nuovo a questo tipo di operazioni, prova ne sia il suo celebre album Prelude, che conteneva il brano Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, già utilizzato prima da altri autori, come colonna sonora del film 2001 Odissea nello spazio, del regista Stanley Kubrick. Questo disco fece conoscere a tutto il mondo, le capacità di Eumir di riadattare la musica classica al jazz, grazie anche alla collaborazione di musicisti del calibro di Billy Cobham, John Tropea, Airto Moreira e Ray Barretto. Altri riadattamenti riusciti hanno riguardato l'Ave Maria di Franz Schubert e i lavori di autori quali Maurice Ravel, George Gershwin e Claude Debussy.
La track list comprende i seguenti brani: Adagio veneziano (Benedetto Marcello), Serenata (Franz Schubert), Notturno in Mi b maggiore op. n. 2 (Frédéric Chopin), Meditazione (Jules Massenet), Adagio in sol minore (Remo Giazotto su Tomaso Albinoni) e Il concerto di Aranjuez (Joaquìm Rodrigo). I testi dei primi quattro brani sono di Oscar Avogadro, gli altri due rispettivamente di Giancarlo Bigazzi e Vito Pallavicini.
Avogadro ha collaborato con moltissimi protagonisti della scena italiana dalla fine degli anni '60 e sino ai giorni nostri, tra questi citiamo Alberto Radius, Mario Lavezzi, Pino Daniele, Loredana Bertè, Oscar Prudente, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni e Patty Pravo. Vito Pallavicini è stato uno dei parolieri storici della musica italiana. Ha lavorato con personaggi del calibro di Paolo Conte, Enzo Jannacci, Patty Pravo, Pino Donaggio, Adriano Celentano, Pino Calvi e Al Bano.
Giancarlo Bigazzi, scomparso recentemente, è stato un compositore e paroliere, che ha lavorato, tra gli altri, con Raf, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Gli Squallor, Umberto Tozzi (insieme con lui scrisse Ti amo, Gloria, Gente di Mare), Marco Masini, Mia Martini.
Chi conosce la discografia di Ranieri si sarà accorto che nella track list appaiono due titoli già incisi in altri album, si tratta di Adagio Veneziano, inserito nell'album Via del conservatorio del 1971 e Il concerto di Aranjuez. Il primo di questi due brani fu inciso con un diverso arrangiamento (Frank Pourcel) e con i testi di Giancarlo Bigazzi, mentre in Meditazione il testo è stato scritto da Avogadro: “... raccogli la tua virtù/dolce dea che cammini a testa in su/quando chiudi quella porta fallo piano/io voglio che il respiro che hai lasciato nei lenzuoli resti li vicino al mio...”.
Aranjuez fu inizialmente inserita nell'album Vent'anni del 1971 e riproposto nel successivo Erba di casa mia del 1972, con il titolo Aranjuez mon amour. Anche in questo caso si tratta di una versione diversa, curiosamente i testi per la stessa musica di Joaquin Rodrigo furono entrambi scritti da Giancarlo Bigazzi.
A distanza di quasi quarant'anni Meditazione si rivela come un ottimo progetto progressive, nato nel momento meno adatto e con protagonista la persona sbagliata. In piena epoca pop e rock contrapporre Massimo Ranieri a Led Zeppelin, Yes e Rick Wakeman, anche se con la collaborazione di Deodato, era assolutamente improbabile. Il disco finì invenduto, qualche anno dopo si poteva acquistarlo per poche centinaia di lire nel lato offerte di grossi magazzini quali Nannucci a Bologna e Ricordi a Firenze.
In quarant'anni è cambiato il mondo, diciamo pure che è cambiato tutto. Oggi possiamo tranquillamente valutare l'opera senza i condizionamenti dell'epoca e acquistare facilmente il CD su Internet o i singoli brani su iTunes, rivalutando quella che artisticamente fu un'operazione coraggiosa e di grande spessore.
Nella sua carriera Ranieri ha realizzato altri lavori autoriali, come per esempio La faccia del mare (Odyssea) e la rivisitazione delle canzoni napoletane effettuate con Mauro Pagani.
Liberandoci da ogni tipo di pregiudizio possiamo affermare che Meditazione rappresenta il progetto più ambizioso e forse un po' folle, prodotto da Enrico Polito per Massimo Ranieri. Le registrazioni si protrassero per ben quattro mesi dal settembre 1975 al gennaio 1976, ma grazie alle grandi collaborazioni messe in campo e al suo talento dei due protagonisti il risultato finale è stato eccellente.
Rimane un unico dubbio: e se fosse stato pubblicizzato come un disco di Eumir Deodato, con la collaborazione di Massimo Ranieri?



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venerdì 19 luglio 2013

Il mondo di frutta candita




di William Molducci

Questa è la storia



Nell'aprile del 1975 Gianni Morandi pubblicò Il mondo di frutta candita, un disco composto da nove canzoni, interamente scritto da Ivano Fossati (testi) ed Oscar Prudente (musiche), con la sola eccezione del brano che da il titolo all'album, le cui parole portano la firma di Mogol.
Si tratta di un lavoro ben concepito e realizzato, unico nella sua discografia, che non fu accolto secondo quelle che erano le aspettative di autori e discografici. Il brano principale fu scelto come sigla della trasmissione RAI Alle nove della sera (in origine era intitolata Alle sette della sera, per via dell'orario in cui era trasmessa) e al suo interno furono presentati altri quattro pezzi (Sette di sera, La caccia al bisonte, Autostrade no e Due ore di polvere). Il singolo Il mondo di frutta candita partecipò, inoltre, al Festivalbar del 1975, classificandosi al sesto posto, dietro Drupi, Gloria Gaynor, I Beans, Demis Roussos e Barry White. Curiosamente questa sua partecipazione al Festivalbar del 1975, viene ignorata su Wikipedia. Per la cronaca il cantante bolognese ottenne un buon riscontro: 75,350 voti contro i 94.921 di Drupi, che si affermò con il brano intitolato Due.
Per quei tempi questo può considerarsi un risultato assolutamente positivo per Morandi, visto il calo di popolarità che lo stava coinvolgendo, tanto che quell'estate fece anche un tour in giro per l'Italia.
La caccia al bisonte fu la sigla dell'omonimo speciale televisivo, trasmesso da RAI 1, diretto da Ruggero Miti, che aveva come protagonisti il cantante e il giornalista Gianni Minà. Si trattava di un reportage/documentario girato negli U.S.A., che raccontava lo show business americano e le sue contraddizioni.
Resta indimenticabile l'incontro tra il Gianni nazionale e Muhammad Ali-Cassius Clay, che si misurarono la grandezza delle mani e quelle di Alì non erano le più grandi...
Nel 1971 il brano il mondo di frutta candita fu inciso dallo stesso Oscar Prudente, ma passò quasi del tutto inosservato, mentre nel 1976 l'intero LP, con il titolo di Y mi gente donde va, fu tradotto ed interpretato in spagnolo dal cantante italo-argentino Piero De Benedictis. La tonalità della voce di Piero si avvicina a quella di Prudente, ma l'arrangiamento dei brani fa riferimento alle versioni registrate da Morandi. Nel 1974 Oscar Prudente incise anche un secondo brano, presente nell'album Il mondo di frutta candita, si trattava di Io vado a sud, inserito nella track list di Infinite fortune.
Oscar Prudente e Ivano Fossati, entrambi genovesi, si incontrarono verso la fine degli anni '60, subito dopo iniziò il loro sodalizio artistico, dal quale nacquero Jesahel (Sanremo 1972), uno dei maggiori successi dei Delirium e Haum! (Disco per l'estate 1972). Nel 1974 incisero insieme l'album Poco prima dell'aurora; nello stesso anno Prudente realizzò un altro disco (Infinite Fortune), di cui Fossati scrisse i testi.
Il disco di Morandi si pone storicamente un anno dopo la pubblicazione di Poco prima dell'aurora e nello stesso periodo di Good-bye Indiana di Ivano Fossati (il brano che da il titolo all'album è l'unico firmato a quattro mani dai due cantautori liguri). Da notare che dopo la realizzazione de Il mondo di frutta candita, Fossati firmò un contratto discografico con la RCA ed iniziò la collaborazione con Antonio Coggio (anche lui ligure). Nel 1978 i due autori scrissero Pensiero Stupendo, prodotto dallo stesso Coggio e portato al successo da Patty Pravo. Questa canzone nacque nel 1974 per mano di Oscar Prudente, che ne scrisse sia la musica che il testo, intitolandola Formule magiche. Il pezzo venne “provinato” da Morandi nel corso delle registrazioni de il mondo di frutta candita, ma non se ne fece nulla.
Nel 2008 Oscar Prudente ha portato in scena, per la regia di Tonino Conte, lo spettacolo teatrale Benvenuto fortunato, un percorso attraverso la canzone italiana, dagli anni sessanta ad oggi, riproponendo anche la sua versione de Il mondo di frutta candita. Nel 1985 Ivano Fossati scrisse per Morandi il brano Facile così, inserito nell'LP Uno su mille, che ne decretò il rilancio definitivo. Tre anni prima Prudente aveva composto L'aeroplano, presente nell'album intitolato semplicemente Gianni Morandi. Quest'ultimo brano era stato inciso dieci anni prima, con testo ed arrangiamenti diversi, dallo stesso cantautore genovese, con il titolo Oè-oà.




In fondo al mare... una perla

Abbiamo voluto dedicare un articolo a questo album, in quanto Il mondo di frutta candita rappresenta per Morandi l'evidente tentativo di uscire da quella che possiamo definire come una crisi di “mezza età artistica” e per fare questo si affidò a due talentuosi ed emergenti autori quali Prudente e Fossati, con il risultato di realizzare uno dei migliori dischi degli anni '70. Al progetto contribuirono oltre allo stesso Prudente per gli arrangiamenti, anche Antonio Coggio (collaboratore e co-autore di Claudio Baglioni), Franco Migliacci (autore e produttore storico di Morandi) e Toto Torquati (direzione archi). Questo disco si pone come il prosieguo ideale dell'esperienza di Jacopone, un musical portato in scena nel 1972 insieme a Paola Pitagora (183 repliche), con la regia di Ruggero Miti, incentrato sulla figura del beato Jacopone da Todi, visto in chiave moderna. Sia il tour teatrale che l'album non ottennero il successo sperato, ma il brano Vidi che un cavallo ottenne una buona accoglienza ed ebbe il merito di anticipare la sorprendente intensità interpretativa di Morandi, che avrebbe successivamente caratterizzato proprio l'album scritto per lui dalla “ditta” Prudente & Fossati. Vidi che un cavallo in seguito è stata riproposta in alcune delle sue compilation storiche (Flashback l'album di... del 1984), Gliannisettanta del 1998 e il recente Un'ora con del 2012).
Era la prima volta, a parte la parentesi di C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, in cui Morandi si confrontava con scelte, che possiamo definire “alternative”, ma che in realtà introducevano arrangiamenti, tematiche ed autori, che avrebbero caratterizzato la scena italiana per gli anni che seguirono. Il “ragazzo d'oro della canzone italiana” aveva trovato una perla nel mezzo della sua crisi artistica, ma in quel periodo non c'era nulla e nessuno, che avrebbero potuto farlo risalire più velocemente.



La track list

Questo album rappresenta per Morandi un lavoro autoriale di altissimo livello. Le canzoni sono eseguite spesso con una voce roca e quasi furiosa e in tutte si evidenzia un'immedesimazione difficilmente raggiunta in altre prove canore, come nel caso di Autostrade no, La caccia al bisonte e l'introspettiva Io domani me ne vado. Il testo di quest'ultimo brano, davvero insolito nel contesto del repertorio di Morandi, descrive le angosce di chi sembra arrendersi ad un modo di vivere che non condivide, per poi superare il momento di disperazione: “io domani me ne vado per paura di morire, per paura di adattarmi alla verità, in un mondo che adora un' immagine che in faccia gli scoppierà... io lotto fin da quando sono nato e so che può cambiare il mondo, io non me ne andrò.
Nei testi di Ivano Fossati, spesso si parla di temi riguardanti l'ambiente, l'integrazione di poveri ed emarginati (speranza e disperazione), il desiderio di libertà, la fratellanza e il viaggio, solitamente solitario (vedi Lindbergh). La sua poetica non ha nulla a che fare con i testi interpretati da Morandi sino ad allora. Questo progetto rappresenta un'isola, un lembo di terra solitario composto da canzoni solo in apparenza leggere, ma in realtà ricche della semplicità con cui si costruiscono opere importanti. Queste tematiche a volte si uniscono e generano avventura, speranza e desiderio, come per esempio in Favole di mare (inserita anche nella compilation del 1998 intitolata Gliannisettanta): “... ma quante navi e quante vele seguirò/per ogni favola di mare che non so/con quel poco che già so, prima di arrivare al Brasile mi perderò/però mi vedi non si presenta così/un uomo che intende finire i suoi giorni qui...”.
Ne La caccia al bisonte, un padre parla al proprio figlio donandogli insegnamenti di vita “... poi la sera intorno al fuoco ancora insieme noi/e dalla collina che stia in guardia verso sud perché di la/potrebbe venire il fumo di città... io vedo nuova caccia, nuovi pascoli e guerre per la libertà/con me non finisce l'eternità...”.
In Sette di sera, il protagonista evade dalla routine della vita quotidiana: “...sette di sera lavoro finito/viola tramonto giorno passato/grande canzone di confusione/metropolitana, centomila persone/tornare a casa, no... quasi mezzanotte e non mi va di tornare/donna non mi aspettare/non ti voglio vedere/per questa notte no...”
Autostrade no! è un brano di ispirazione ambientalista, un tema ancora di più attuale ai giorni nostri: “... sulla terra, nella carne mia/correranno autostrade/e il cemento di domani sarà/il mio raccolto in estate... passeranno su di me/su di me/sulle ansie mie/su di me, come dentro me/sulle nostre allegrie/su finte e vere malattie...”. Notevole, come già accennato, l'interpretazione di Morandi.
Due ore di polvere è una delle poche canzoni d'amore del disco, accompagnata da un arrangiamento stile West Coast: “... di nuovo fermi ad una stazione ed io/il profumo della costa sento ma giurerei/che intorno la terra non finisce mai/ultimi chilometri pensando se/è il desiderio di evasione che mi porta da te... e non sono più forte di ieri/non sapendo ancora bene perché/cerco te...”.
La mia gente, il tema del cambiamento è riproposto in questo brano struggente: “... chi non ha provato a far cambiare il vento/prima di cadere e non rialzarsi più/io lavoro ma sento che/porto tutti in me...
Io vado a sud, propone tematiche tipiche di Fossati riguardanti gli emarginati e il desiderio di libertà: “... nella notte le stazioni sono grandi più che mai/Il mio treno l'ho perduto già da un pezzo oramai/maledetto questo freddo a nord, non passa mai/ehi, tu dove vai?/forse in tasca ho qualche sigaretta, tu ne vuoi?/scusa sai, t'ho svegliato perché ho voglia di parlare se tu vuoi/strana gente noi, nella vita non è bene mettere radici mai...
Il mondo di frutta candita, si tratta senza dubbio del brano più conosciuto dell'intero album, inizia con due endecasillabi molto orecchiabili: “Quante fisarmoniche ho suonato io/sopra i marciapiedi di una strada...", accompagnati da una base ritmica ed un inciso lungo e coinvolgente. In quegli anni era uso per Morandi aprire i suoi concerti con questa canzone, proprio come una sigla, successivamente è sempre stata inserita nelle sue compilation ufficiali (compreso Grazie a tutti del 2007). Con questo pezzo inizia la sua collaborazione artistica con Mogol, che qualche anno più tardi sarà l'artefice del suo rilancio con Canzoni stonate. Nello stesso anno Morandi e Mogol sono tra i fondatori della Nazionale italiana cantanti, nata per disputare incontri calcistici a scopo benefico.


Una foto recente di Gianni Morandi

Il mondo di frutta candita su Internet

Sono passati quasi 40 anni, ma al contrario di quanto accadde negli anni '70 attorno a Il mondo di frutta candita si è creata una nicchia di appassionati, che possono facilmente acquistarlo su iTunes, Amazon, Ebay o in altri negozi on-line, sotto forma di formato digitale e/o CD. Una vera e propria rivincita sul tempo. Qualche brano di questo disco è disponibile, in formato video, anche su Youtube, dove non manca il filmato originale de La caccia al bisonte.



Copyright © by William Molducci

martedì 9 luglio 2013

I Cortometraggi



Il cinema corto
di William Molducci

Il cinema è nato con i cortometraggi, infatti sino al 1913 la durata massima di un film era di circa 15 minuti.
Da quei tempi pionieristici il cortometraggio si è evoluto con la nascita di vari generi quali commedie brevi, corti di animazione, comiche, artistico, sperimentale e perché no anche lo spot pubblicitario.
Il cortometraggio rappresenta e ha rappresentato una palestra di addestramento per registi, autori, attori e tecnici, ma, per molte persone rappresenta un vero e proprio genere da cui non vogliono allontanarsi. Questo tipo di cinematografia nasce solitamente da una piccola idea, che si sviluppa in poche azioni necessarie per giungere ad un finale “importante” a cui è demandato il compito di dare un significato a tutta la storia.
Questa breve premessa è necessaria per introdurre alcune produzioni di cortometraggi, realizzati tra il 2011 e il 2012, che sono stati presentati nei numerosi festival organizzati ogni anno in tutte le parti del mondo. Il loro numero è in forte crescita, anche in Europa e in Italia, nonostante la lunga crisi economica. Si può certamente parlare di un vero e proprio circuito di distribuzione, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. I festival più importanti sono senz’altro quelli che hanno una lunga storia, a loro è “demandato” il compito di presentare le nuove produzioni, che verranno successivamente accolte nella programmazione di altri festival. Alcuni dei film recensiti, possono essere visti su YouTube.

Parliamo di corti:

La Huida (La fuga)

Di Victor Carrey

La Huida ha raccolto numerosi apprezzamenti, tra cui il primo premo al Next Festival di Bucarest nel 2011 e il premio dello staff al Film Festival di Milano del 2011.
Si tratta di un film strutturato in maniera originale, che si sviluppa e si completa come un’equazione. Inizialmente un commentatore fuori campo descrive personaggi e le azioni, che ruotano intorno ad una banconota da 50 Euro, che sembra cadere dal cielo. Successivamente vengono introdotti oggetti e persone, tra cui una gomma da masticare, un guinzaglio per cani, una lattina, una macchia sul muro a forma di “Australia”, alcuni tizi loschi che fuggono, un semaforo piegato, che, causa una serie di coincidenze, cadono, fuggono ed esplodono, in un susseguirsi di scene dallo humor folgorante. La parte finale del film è scandita da un’ottima colonna sonora, in particolare dal brano Don’t you forget di Micah P. Hinson, inserito all’interno del CD Micah P. Hinson & The Gospel of Progress.
Una volta che tutti i personaggi e gli oggetti sono stati presentati, proprio come in un’equazione matematica, la scena scorre veloce nella sua narrazione, facendo combaciare ogni avvenimento al posto giusto. Causa ed effetto s’incastrano in un finale decisamente ben costruito.
Gli ingredienti del racconto sono ben dosati e distribuiti, tanto da costruire una narrazione completa nell’azione e nell’intento e quindi realizzando una storia vera e propria.



Crossing salween

Di Brian O’Malley

Questo film ha avuto numerosi riconoscimenti internazionali, vincendo tra l’altro il Windsong International Film Festival 2011.
La protagonista, una bambina di nove anni, scampa al massacro della sua famiglia, ma per essere davvero in salvo deva fare un lungo viaggio attraverso gli orrori della giungla birmana sino al fiume Salween, che deve attraversare per giungere nella pacifica Thailandia.  La storia è ambientata nello stato del Karen, nella Birmania orientale, dove la popolazione da anni viene perseguitata dal regime militare che li governa. I karen, detti anche Karian oppure Yang, sono un gruppo etnico situato principalmente in Birmania (4 milioni) e in Thailandia (400.000 individui), oltre a gruppi più piccoli in India. I Karen di Birmania sono spesso in conflitto con il governo centrale di Naypydaw a causa della negata indipendenza nazionale e della repressione esercitata nei loro confronti.
La bambina viene guidata nel suo viaggio da un angelo custode, il quale però può soltanto aiutarla con una promessa, senza avere la possibilità di intervenire.
Pur essendo un cortometraggio di soli venti minuti, il regista riesce nell’intento di costruire una narrazione, con momenti di tensione ed altri di pura azione, soprattutto nella scena in cui i militari fanno scempio della popolazione che vive nel piccolo villaggio. Da non perdere la scena finale, dove la bambina attraversa il fiume sotto il fuoco delle armi dei militari.
O’Malley ha girato numerosi spot televisivi in oltre dieci anni di attività, ma riesce con questo lavoro ad affermare la sua tecnica narrativa, ben lontana da tecnicismi o da stereotipi tipici della pubblicità televisiva.

A Fábrica

Di Alysson Muritiba

Alysson Muritiba, è un regista brasiliano, il suo film ha ricevuto numerosi premi in festival prestigiosi, tra cui il Recife Cine PE Festival do Audiovisual, Vitória Cine Vídeo e il Toronto International Film Festival.
Come si evince da questo cortometraggio, Muritiba preferisce raccontare storie ambientate in contesti di problematica sociale e politica del suo paese, infatti, A Fàbrica è ambientato in un carcere brasiliano. 
La trama del film è abbastanza semplice. Una madre riesce a portare al figlio carcerato un telefono cellulare, in modo che questi possa mettersi in contatto con la piccola figlia, in occasione del suo compleanno. Quello che è emerge è l’ambiente in cui vengono sviluppate queste “piccole azioni”, che denota degrado, povertà e disperazione.  Le storie raccontate da Muritiba sono frutto della sua fantasia, ma i personaggi interagiscono in contesti reali ed espongono problematiche del tutto attuali in Brasile.
Nonostante gli studi interrotti, il fermento culturale della città in cui è vissuto, ha permesso al regista di sviluppare la sua cultura ed avvicinarsi al mondo del cinema. L’idea di A Fábrica è nata quando ha lavorato all’interno di un carcere, un lavoro durato ben cinque anni, dove ha potuto vedere e soprattutto ascoltare tutti i generi possibili di storie, da parte dei detenuti.
Il film, nelle intenzioni di Muritiba, è il primo di una trilogia, che continuerà a prendere spunto dalla sua esperienza di lavoro all’interno del carcere, proponendo quindi altre situazioni e personaggi.   Il film è stato interamente girato nel carcere di Ahú, una prigione abbandonata situata nello stato di Curitiba.
In A Fábrica l’autore riesce a raccontare una storia che comporta emozione, ponendo l’attenzione sugli uomini e i loro desideri, confinati, in questo caso, in un contesto sociale, che possiamo definire estremo. Muritiba gioca sui tempi e sui ritmi, non ci rivela nulla prima del dovuto, riuscendo a dare una spiegazione ai movimenti strani della madre e del figlio, gesti che non portano a fatti cruenti, come una rivolta oppure un tentativo di evasione, ma ad una semplice telefonata alla propria figlia, nel giorno del suo compleanno. L’autore sa che non può cambiare il mondo, cerca di farci capire la sua visione delle cose per aiutarci a comprendere il mondo in cui viviamo. Pur essendo una storia sviluppata in un contesto drammatico, la colonna sonora non utilizza musiche o suoni violenti, ma si affida ai suoni reali, inoltre, la camera segue i protagonisti, senza mostrare più di tanto il contesto in cui si muovono, provocando quasi un senso di claustrofobia, ampliando le inquadrature soltanto nel finale, quasi come per esprimere un senso di liberazione.



Umkhungo (Il regalo)

Di Mattew Jankes

Il film è stato premiato all’Africa in Motion 2011, il Festival scozzese dedicato al cinema africano, che si svolge ad Edimburgo. 
La trama si sviluppa nelle azioni di un disilluso sbandato, che vive nei bassifondi di Johannesburg, il quale salva la vita di Themba, un bambino con poteri soprannaturali, ereditati dai suoi antenati, cui vengono uccisi i genitori.  I due fuggono per sfuggire ad un parente superstizioso, il quale crede che il bambino porti sfortuna. Lo sbandato in un primo tempo pensa di vendere il bambino, ma sarà lo stesso Themba a convincerlo di aiutarlo in cambio di alcuni regali, necessari per fargli ritrovare il fratello. I due impareranno insieme, che i poteri straordinari del bambino, ritenuti una maledizione, in realtà sono un dono straordinario. L’epilogo del racconto, narrato tra l’onirico e il tecnicismo degli effetti speciali, ne conferma la forza e allo stesso tempo la disperazione. 
La storia sviluppa un tema, che per tutto il film rende evidente il senso di fragilità degli uomini, delle azioni e dei rapporti tra loro, non tralasciando quelle che sono le loro aspirazioni. Tutto questo viene evidenziato proprio tramite quelli che sono i poteri del bambino.
Il film è ambientato in un contesto urbano diverso da quello occidentale, ma si intravedono affinità pericolosamente simili, nei confronti delle persone che vivono ai margini della società. 
 
African Race

di Julien Paolini

Pur essendo di produzione francese è girato ed ambientato in una desolata periferia di una città dell’Africa nera. Il film narra le ambizioni e l’orgoglio del protagonista, che cerca di costruire una motocicletta, utilizzando pezzi di scarto trovati nelle discariche, allo scopo di partecipare ad una gara. Il momento epico del film giunge quando il protagonista termina la costruzione della sua moto e parte per raggiungere il luogo della gara. I suoi occhiali, una specie d’impermeabile e la moto stessa, vengono sublimati quasi fossero un elmo, un mantello e un veloce destriero. In pochi minuti e senza dialoghi, con la sola forza delle immagini e del racconto, il regista, ci regala un film emozionante e allo stesso tempo realistico.



Courte vie

Di Adil El Fadili

Un capitolo a parte lo dedichiamo al regista marocchino Adil El Fadili. Il film conferma l’importante momento storico del cinema africano, che in questo caso riesce a realizzare un originale racconto basato su humor, difficilmente riscontrabile nelle realizzazioni magrebine. L’autore ha vissuto e studiato a Parigi e questo si nota. Si tratta del suo primo lavoro cinematografico, ma, nonostante questo El Fadili riesce a realizzare un racconto originale, basato su tempi comici tipici dei fratelli Coen. Naturalmente il contesto in cui si sviluppa la storia, è completamente diverso da quello solito dei due registi americani e anche la visione del regista, ma le affinità non mancano.

Stand by me

Di Giuseppe Marco Albano

Si tratta di un corto di quindici minuti, vincitore del premio CRESM all’Efebocorto Film Festival di Castelvetrano. Il film è realizzato con lo stile della commedia un po’ dissacrante e per certi versi inquietante, perché descrive alcuni aspetti del nostro paese tristemente attuali. Il ritmo del film è tutto basato su di uno spot, che è in procinto di essere realizzato, per pubblicizzare la “meravigliosa” idea del protagonista. Il racconto si svolge con i tempi scanditi dalle canzoni e da alcune gag fulminanti, ecco quindi che il complesso, che dovrà essere ingaggiato per girare la réclame, intona all’inizio “Pregherò” portata al successo da Adriano Celentano, che nella versione finale si trasformerà in quell’inglese originale intitolata per l’appunto “Stand by me”. Lo stesso gioco temporale è utilizzato dal regista per la scena del flashback in cui si vede il protagonista, allora bambino, dialogare con il padre, il tutto utilizzando la canzone “Settembre”, inizialmente eseguita dal solito complessino e nella fase del ricordo, trasmessa dalla radio nell’interpretazione originale del suo autore: Peppino Gagliardi. Lo slogan finale, con cui si conclude il mega spot televisivo, è davvero indovinato: “Venite a morire a Matera”. Naturalmente il film è girato e ambientato in Basilicata, se non lo avete ancora visto, vi consigliamo di cercarlo su YouTube.

Il respiro dell’arco

Di Enrico Maria Artale

Il film cattura immediatamente l’attenzione dello spettatore, tramite un forte e violento impatto emotivo, l’uccisione senza apparente motivo di alcuni uomini, da parte di una donna armata di arco. Non sono date eccessive spiegazioni sulle motivazioni del gesto della donna, truccata quasi come Tomb Raider, ma si comprende il motivo di tanta ferocia nel momento in cui è ucciso un uomo, che ammette di non avere partecipato, ma soltanto assistito a quello che non può esser altro che uno stupro. Il finale è giustamente ambiguo, la donna scaglia le frecce dal proprio arco per colpire un bersaglio, in una gara sportiva, la freccia però ha la punta insanguinata...

L’accordeur

Di Olivier Treiner

Si tratta di un film che ha ottenuto numerosi premi, tra cui il prestigioso Cesar (l’Oscar francese), per il migliore cortometraggio.
Il protagonista è un giovane prodigio, che non riesce a superare un concorso molto importante. Reagisce a questo evento decidendo di diventare un accordatore, fingendo oltretutto di essere cieco. Questa scelta è motivata dal desiderio di volere entrare nell’intimità dei suoi clienti, siano essi una giovane donna che si spoglia, oppure una famiglia che vive in assoluta libertà in casa.
Come ben descritto nella scena in cui racconta il suo modo di vivere al proprio datore di lavoro, l’accordatore decide di vivere indisturbato la sua finta infermità, per meglio osservare le persone, esaltando il voyerismo, che evidentemente è parte di se. Inoltre, i suoi clienti lo credono in possesso di maggiore sensibilità, proprio per via della sua situazione sensoriale.
La scena del dialogo con il suo datore di lavoro è un piccolo capolavoro di caratterizzazione di un personaggio minore, difficile da sviluppare in un cortometraggio. Con poche battute viene fatto intravedere il suo modo di vivere i sentimenti, vedi il riferimento alla chat su Internet e il suo pensiero nei confronti dell’atteggiamento dell’accordatore.
Questo sotterfugio pone l’accordatore di fronte a numerose situazioni, ma lo porta anche a essere testimone di un omicidio, coinvolgendolo in un finale aperto, ma dall’esito che si presume drammatico.
In pochi minuti il regista riesce a sviluppare, con maestria, una trama che implica aspirazioni, delusioni, menzogna e omicidio. Da notare che la sequenza iniziale e quella finale, sviluppate in un contesto completamente diverso, sono uguali.



Enmesh

di Ainur Askarov

Si tratta di un film russo, che si distingue per il gusto trash del regista e per l’indubbia allegria, che riesce a coinvolgere anche il pubblico. Possiamo definirlo una specie di “Nuovo Cinema Paradiso”, con tutte le cautele del caso. L’immensa campagna russa fa da sfondo ai chiassosi frequentatori dell’unico cinema cittadino, dove, una volta la settimana è proiettato, per una sola volta, un unico film. Gli spettatori, tranne uno, sono tutti bambini e c’è chi, per entrare e pagare il biglietto del valore di due uova, deve mordere il lobo di una bambina. Questa, secondo la tradizione, un giorno diverrà sua moglie. Si tratta di un film interessante e per certi versi poetico.

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