giovedì 23 gennaio 2014

Storie di un fotografo: Gianni Berengo Gardin

Storie di un fotografo: Gianni Berengo Gardin

di Eleonora Bonoretti
Il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona ospita, dal 26 ottobre 2013 al 26 gennaio 2014, la mostra dedicata a Gianni Berengo Gardin, curata da Denis Curti e promossa dal Comune di Verona in collaborazione con la Casa dei Tre Oci di Venezia, Fondazione Forma per la Fotografia e Civita Tre Venezie.



L'esposizione conta oltre 180 immagini suddivise in dieci sezioni, in cui è il fotografo stesso a raccontarci, attraverso l'audioguida, ciò che vediamo, i suoi reportage più importanti e il suo modo di vivere la fotografia.
La mostra inizia con alcune vetrine dedicate alle sue macchine fotografiche, alle pubblicazioni e ai libri dei suoi reportage, quasi a indicare che la fotografia non è un percorso rivolto alla stampa fine a sé stessa, ma una scelta, che testimonia il suo amore per la "fotografia vera", una cura che passa attraverso la pellicola, l'ingranditore e i chimici, fino a essere antologia.
Gianni Berengo Gardin, è fra i più noti fotografi italiani, nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, ha iniziato a occuparsi di fotografia dal 1954, ma il suo nome diventa conosciuto a livello nazionale e internazionale quando alcune riviste come "Il Mondo" di M.Pannunzio, "Epoca", "Le Figaro" e "Time", pubblicano le sue immagini. Sono progetti meditati i suoi, svincolati dalle tempistiche che la cronaca impone, sono icone del tempo,sono racconti dai toni semplici e immediati che tendono però, a valori universali. Lui stesso si definisce allievo di Willy Ronis e della tradizione della photographie humaniste francese (Brassaï, Izis,Doisneau,Boubat,Kertész). Questo stile fotografico, nasce in risposta all'artificialità della fotografia modernista,come bisogno di rinascita e rinnovamento a seguito della sofferenza causata dalla Seconda Guerra Mondiale. La fotografia umanista ha un linguaggio trasparente e accessibile a tutti, pone enfasi sulla vita delle strade, sul quotidiano, sugli emarginati e i soggetti deboli; racconta frammenti di vita senza utilizzare astrazioni,sceglie il bianco e nero piuttosto che il colore. Fotografare diventa un lavoro di pazienza, di attese, di attimi colti e di istanti perduti. Il più autorevole esponente è Henry Cartier-Bresson.
Berengo Gardin incarna questa ricerca alla perfezione, attraverso i piccoli gesti quotidiani ma anche i grandi eventi, le sue immagini offrono un'analisi della vita economica, politica, cultura e sociale dell'Italia dagli anni 60 a oggi. Il suo sguardo non è mai accusatore, cerca l'uomo, lo cerca fra i soggetti ai margini, fra i disoccupati e i lavoratori, fra i bambini, fra gli inconsapevoli e i dimenticati. Lui c'è, si schiera con l'essere umano e con la sua contingenza, è un cantore formale e un portatore di emozioni, è consapevole di ciò che racconta e del suo dovere di testimonianza e di impegno civile.

Il suo è un lavoro costante, nel linguaggio, nella forma e negli ideali. Le fotografie colgono l'attimo, il momento decisivo, sono frontali,il soggetto è al centro, avvolto in una luce quasi "buia",non è un fotografo provocatorio e urlante, c'è timidezza e grazia nei suoi racconti. I messaggi sono sussurati, ma arrivano diretti, con l'audacia di un fotografo di "mestiere" (come lui stesso si definisce).


Fra i reportage maggiormente significativi della mostra, Morire di Classe, realizzato nel 1969, insieme a Carla Cerati e con la collaborazione di Franco Basaglia. E' una documentazione sui manicomi e le condizioni di degrado e annientamento cui i malati erano tenuti,in cui lo stesso autore diventa strumento di denuncia sociale al punto da ispirare la legge 180 sulla revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici e la loro conseguente chiusura.
Con lo stesso approccio, lo ritroviamo nel reportage "La disperata allegria. Vivere da zingari a Firenze" (1994),una storia contro i pregiudizi e le credenze sulle comunità nomadi. Berengo Gardin ha la capacità di entrare in profondità, unirsi ai soggetti che descrive, ai contesti socio-culturali che incontra, con rispetto e apparente normalità, ed è proprio attraverso questa apparente normalità che ci testimonia la sua ricerca continua per la realtà che circonda l'uomo.
Nella sezione dedicata ai "Baci", incontriamo un giovane e timido fotografo, che con la curiosità di ragazzo, riesce negli anni Cinquanta a immortalare il suo primo bacio a Parigi (in Italia in quegli anni era proibito baciarsi in pubblico) e curiosamente l'ultimo scatto di un bacio si chiude a Milano, per le vie della città.
La mostra continua, "Verona", "Lavoro", "Fede religiosa e riti", "Milano", "Dentro le case" (ritratti intimi, costumi e condizioni di vita di un'Italia che non esiste più, che il tempo ha profondamente cambiato), immagini che tracciano i momenti fondamentali dell’attività del grande fotografo, capace di rendere leggibile e di svelare la complessità del mondo, istanti di vita quotidiana nelle strade, incontri casuali con le persone, gesti spontanei.

Storie di un fotografo è una mostra sulla nostra società, sulle esperienze di vita del maestro. La sua forza è nella grande semplicità con cui riesce a mostrarci le molteplici varietà del mondo.Non c'è retorica , non ci sono sottintesi, arriva diretto, arriva all'uomo.

Gianni Berengo ha pubblicato oltre 210 libri, vive a Milano ed è membro dell'agenzia fotografica Contrasto dal 1990 e del circolo "La gondola" di Venezia.
Nel 2008 ha ricevuto il Lucie Award, premio alla carriera.


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